L’INIZIO?

Cominciai a frequentare il Tuwat diventandone ben presto il bar man punk. Vodka-orange, Coca-rum e il mitico cocktail del nonno: in un pentolone ficcavo tutti gli scarti di bottiglie dal wisky alla Coca, dal Fruttino Coop al Nocino, dal Chinotto alla Sambuca creando un intruglio allucinante che con sole 700 lire partivi tipo sputnik verso le galassie più lontane. Poi i CCCP suonarono al Tuwat, quando erano ancora in tre, fra l’82 e l’83. Ci fecero due o tre concerti e presentarono un filmino, in cui apparivano con gente con problemi psichiatrici dell’Appennino Reggiano. C’era anche la sala prove, tutti suonacchiavano e avevano i loro gruppi, e anch’io volevo dire la mia. Quindi ho iniziato a fare delle performance con dei cerchioni di macchina e rottami, una specie di striptease post-industriale, usando gli scarti delle macchine. Al secondo spettacolo che ho fatto, i CCCP mi hanno scritturato. E da hobby, piano piano, è diventato un lavoro.